Tutti credono che esista ma nessuno lo ha mai visto
Tutti lo chiamano ma lui non risponde mai
Tutti dicono che è buono e onnipotente…
…e di sicuro non gli manca il senso dell´umorismo.
Il capitano Cocisse fece atterrare l´astronave su un promontorio abbagliato dalla luce di quella stella appena nata, che lui aveva immediatamente battezzato col nome di “Sole”. Il razzo a forma di triangolo bruciò un po’ d’erba coi reattori, fece due balzelli e poi rimase immobile, primo ed unico battello spaziale ad aver toccato la superficie di quello strano pianeta pieno d’acqua.
«Siamo arrivati. Potete raccogliere le vostre cose e prepararvi allo sbarco» disse il capitano, e la sua voce rimbalzò in tutti gli altoparlanti dell’astronave. L’equipaggio, un centinaio di persone in tutto equamente divise in uomini e donne, incominciò a prendere posizione vicino allo sportello d’uscita, brontolando e lamentandosi come solo gli uomini sanno fare. Qualcuno diceva che il viaggio era stato terribile, che il cibo servito faceva schifo, che il capitano Cocisse, che tutti chiamavano col curioso soprannome di “Dio”, non sapeva guidare e che era stato un miracolo, o semplice fortuna, che non era andato a sbattere contro un nugolo di asteroidi quando ormai erano quasi arrivati a destinazione.
Il capitano s’infiló tra la calca che attendeva impaziente di scendere e prese posto davanti allo sportello. Indossava la divisa con i gradi ben in mostra sulle spalle e la barba bianca e lanuginosa gli ricadeva sulle medaglie vinte in gioventù, quando era stato un pilota provetto. Ne era passato di tempo da allora. Le mani non erano più ferme come il giorno in cui uscì dalla scuola di volo, ed era stato per davvero un miracolo, o forse solo fortuna sfacciata, che era riuscito a scansare quei maledetti asteroidi. Sarebbe stata una grande beffa inciampare nella sua ultima missione, prima della meritatissima pensione.
Azionò la leva che apriva lo sportello e attese con gli occhi abbassati che i meccanismi, con suoni stridenti e sbuffanti, facessero il loro lavoro. Il sole splendette sul suo volto e su quello degli uomini e delle donne che attendevano alle sue spalle.
«Ecco la vostra nuova casa!» dichiarò Cocisse, accendendosi subito una sigaretta. Non che fosse vietato fumare a bordo, intendiamoci, ma nessuno fumava per rispetto di quelli che non fumavano, ed era sempre stato così.
I passeggeri discesero lentamente la scaletta dell’astronave trascinandosi dietro ogni sorta di bagagli, borse, zaini, portacappelli, gabbie per uccelli e via dicendo. Andarono a disporsi in semicerchio sul pratino del promontorio lamentandosi subito dell’umidità, del vento, del sole, e delle nubi all’orizzonte che secondo qualcuno avrebbero portato pioggia. Perché si sa, gli uomini non si accontentano mai.
Cocisse rimase ai piedi della scaletta pronto a dare istruzioni. Appena ci fu un po’ di silenzio il capitano iniziò a parlare al popolo impaziente.
«Mi auguro che vi siate letti bene le regole durante il viaggio. In ogni caso le ripeterò adesso, prima di congedarmi da voi. Allora…-
Qualcuno tra i cento indicò in cielo un uccello e molti si distrassero, ma Cocisse non ci badò e proseguì. Ve ne furono molte di distrazioni durante il suo discorso.
«Regola numero uno: non litigate. Cercate sempre di andare d’accordo e risolvete le vostre incomprensioni con le parole e non con la forza. Rispettatevi a vicenda, sempre…»
L’uccello, che era un tucano, era scomparso nel frattempo dentro i boschi della valle.
«Regola numero due: godete dei frutti di questo mondo. Non sprecateli, non sfruttateli oltre il necessario, non inquinateli e neanche banditeli. Questo mondo non è vostro, è solo in affitto, ricordatevelo…»
Intanto qualcuno si era messo a prendere il sole e poco sentiva di quello che veniva detto.
«Regola numero tre: riproducetevi e divertitevi nel farlo. Se per caso qualcuno di voi preferisse divertirsi con compagni dello stesso sesso, allora che si diverti pure senza riprodursi, che di sicuro non ce ne sarà bisogno…»
Qui alcuni starnutirono e persero metà della frase, ma erano troppo arroganti per chiedere ai vicini che cosa era stato detto.
«Regola numero quattro: aiutatevi. Se qualcuno è in difficoltà, dategli una mano. Ricordate che la vita è un gioco, non una competizione…»
E a questo punto molti alzarono la mano per chiedere spiegazioni perché non riuscivano a capire la differenza tra gioco e competizione. Cocisse provò a spiegarglielo e tutti annuirono soddisfatti, per non ammettere di non aver capito un bel nulla.
«Infine, quinta ed ultima regola: amatevi e amate il vostro mondo!» Ma a questo punto molti si erano già dileguati perché pensavano che le regole fossero finite. Davanti al capitano erano rimaste solo una decina di persone con le mani alzate le per domande di rito. Qualcuno chiese se si poteva eleggere un capo, ma un altro disse che era meglio formare un governo. Una donna che aveva freddo domandò se si potevano usare le pelli degli animali per vestirsi, e un uomo distinto invece parlò di qualcosa di assolutamente astratto che si chiamava denaro e che di sicuro avrebbe semplificato la vita di tutti. Non mancarono frasi di elogio al capitano e un gruppo di quattro ammiratori chiese si poteva erigere un effige in suo onore, per ringraziarlo di averli portati su quel nuovo mondo. Cocisse, che tutti chiamavano Dio, rispose educatamente a tutte le domande ma nessuno davvero lo ascoltò. Poi giunse finalmente il tempo di ripartire. Risalì la scaletta, salutò le poche persone rimaste sul promontorio (le altre si erano già allontanate per ispezionare il territorio e alcuni di queste incominciarono a pensare al concetto di “proprietà privata”) e riprese posizione nella cabina di comando. Il razzo a forma di triangolo descrisse un arco nel cielo e in pochi istanti sparì all’occhio dell’umanità.
“Finalmente! Ora potrò riposarmi e godermi la pensione” pensò il vecchio capitano mentre si lasciava alle spalle il pianeta azzurro. Peccato che non fu altrettanto fortunato come all’andata, e appena oltrepassò un pianeta tutto rosso andò a schiantarsi su un grosso asteroide, deviandone la traiettoria e portandolo su una nuova orbita.
«Che cos’è quello?» domandò la sera stessa uno degli uomini sbarcati sul nuovo pianeta.
«Un satellite, credo…» rispose un altro.
«Ma non ci avevano detto che questo posto era tranquillo. Lo sai come sono i satelliti, con le maree e gli sbalzi di umore…»
«Non ci si può mai fidare delle agenzie planetarie! Comunque, almeno di notte si riesce a vedere qualcosa. Che ne dici se la chiamiamo Luna?»
«Luna? E che razza di nome è? E poi è un satellite, cioè un maschio. Chiamiamolo Armando, un nome importante…»
«Armando! Ma tu sei scemo!» Così iniziarono a litigare, infrangendo subito la prima regola.
E non furono gli unici.
GM Willo 2009 – Immagine di: http://dehearted.deviantart.com/
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