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E-dentity

Facebook ce l’ha tolta, con la scusa di ritrovare vecchi compagni di classe, persone lontane, gente che per un motivo o per l’altro abbiamo perso di vista. Ma se c’era un motivo, allora che bisogno avevamo di ritrovare quella gente?

I Social Network sono il presente di Internet. Non ho molta simpatia per queste piattaforme, ma le uso perché è l’unica maniera per rimanere in contatto con la maggior parte dei miei conoscenti che navigano in rete. In realtà le funzioni importanti dei social network, condividere, scrivere, rappresentarsi, mandare messaggi, pensieri, caricare foto e video, erano già tutte alla portata del precedente fenomeno dei blog. Per quanto riguarda invece i giochi, le applicazioni, i test e i quiz, beh… stendiamo un velo pietoso. Abbiamo davvero bisogno di sapere “che personaggio dei Simson sei”? Sappiamo bene che tutta questa roba è la ragione per la quale ci viene dato gratuitamente l’uso di questi dispositivi. Informazione…

Ma a parte il discorso della pubblicità mirata e delle ricerche di mercato (oltre che a una giustificata paranoia da Grande Fratello), quello che più mi disturba di questo fenomeno di massa è la perdita della propria identità di navigatore dell’etere. Partendo dal presupposto che nessuno riuscirà mai a rappresentare pienamente se stesso neanche attraverso centomila funzioni, quello che ci rimane è un gigantesco equivoco di personalità. Crediamo di avere settemila amici, ma in realtà non ne abbiamo neanche uno. È il nostro personaggio, quello fatto di immagini, link, interventi, pensieri e note che ha tutti quei contatti. Se non distinguiamo i due mondi, rimaniamo perduti nel limbo tra la realtá e il ciberspazio.

Quello che siamo in rete non siamo noi. Dobbiamo ricordarcelo sempre questo, prima di metterci davanti alla tastiera. Riconoscere la nostra E-dentità è un passo fondamentale per l’utente che socializza dietro lo schermo.

Che fare allora? A questo punto abbiamo ritrovato i vecchi amici, ce ne siamo fatti di nuovi, viviamo una seconda vita dietro lo schermo, inconsapevoli di essere diversi da come realmente siamo. Chi siamo davvero? Questa è la domanda. Chi siamo realmente in rete? La persona che lavora, che va scuola, che alleva i suoi figli, che va in birreria o in discoteca, oppure l’avatar con il ciuffo e lo skateboard che abbiamo simpaticamente battezzato Frankie007? Rispondetevi e riappropriatevi della vostra e-dentità.

Fatto questo vi basterà solo comunicare ai vostri settemila amici chi siete realmente. Cancellate il vostro account e ricreatene un altro, col vostro vero nome, Frankie007 per essere chiari. Quello è ciò che siete e ciò che sarete sempre dentro il più grande gioco di ruolo mai esistito.

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IL RISVEGLIO PIÚ DOLOROSO

Pubblicato: 4 novembre 2008 da Willoworld in NARRATIVA
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Deve essere stata la recente scoperta di Facebook ad ispirarmi questa storia.
Buona Lettura!!!

il-risveglio-piu-doloroso

«Questa non me la doveva fare!»
«Dai, non ti scaldare. Andiamo a farci un giro…»
«Eh, no, adesso me la paga!»
La chat-bath era schermata. Vi galleggiavano soltanto le diramazioni di Alex666 e HBTomahawk. Vibravano d’intensità variabili, alterate entrambe da droghe sintetiche e digitali. Bolle di sapone affioravano in superficie, esplodendo con un curioso “ploff”. Erano i banner di ultima generazione.
«Adesso gli entro nel deck e le friggo la fica!»
«Che cazzo dici! Dai, facciamo un salto al Volcano. Stasera deve esserci roba nuova.»
«Laggiù ci vanno gli stronzi, non lo sai. È pieno di spider, e le bambole che lo frequentano non sono altro che dei surrogati di fica, cosa credi? Vacci tu se vuoi, io preferisco farmi una sega…»
Alex666 aveva in circolo del God’s Opium mischiato a degli amplificatori di personalità. La sua ragazza gli aveva appena dato buca. Lui ci sapeva fare con le connessioni, conosceva le fognature della rete, poteva spiare attraverso le pareti, codificare i segnali in entrata, seguire le piste. L’aveva beccata a succhiare l’uccello di un professore. Il professor Crane del corso di lettere, per quanto poteva valere un corso di lettere, in una scuola allo sbando come la sua. A lui ci avrebbe pensato domani a rovinargli la carriera. Adesso voleva saldare i conti con lei… la stronza.
«Quel sudicio avrà almeno sessant’anni!»
«Ma che te ne frega! È solamente sesso teorico. Quei due non si sono neanche toccati. Davvero, non ti capisco!»
«Certo che non mi capisci. Perché sei uno stronzo come lei. Che differenza fa se lo fai su un letto oppure attaccato alla spina del tuo dannato processore. Lo fai, punto. La stronza ed io stavamo insieme, lo capisci questo? Lo capisci?»
«Ok, va bene! Ho capito. Che cosa vuoi allora?»
«Voglio uno di quei giocattoli»
«Cosa?»
«Un cazzo di occhiello, lo sai di cosa parlo!»
«Ma tu sei fuori!»
Gli occhielli erano dei gingilli proibiti. Li usavano le squadre governative per sedare gli animi in rete. Te ne agganciavano uno all’avatar ed eri finito. Causano la perdita permanente delle capacità induttive per la connessione. Il cervello non riesce più a riconoscere gli impulsi del deck. Hai finito di viaggiare fratello!
«Te ne è rimasto qualcuno, lo so!»
«Ascolta, quella roba è pericolosa. Se qualcuno riuscisse ad isolarlo potrebbe incastrarti. E poi risalirebbero a me. Ci sbattano dentro, amico, e ci strappano pure gli innesti. E a me non mi va di correre un rischio del genere!»
«Aspetta che carico la chat-bath di Amanda…»
«Che cazzo dici?»
«Il tuo fiorellino… ho da dirle un paio di cose. Le tue amichette del Volcano, ad esempio. Com’è che si chiamano? Samantha? Donna?»
«Non lo faresti…»
«Oh, certo che lo farei…»
«Stronzo!»
«Eh già!»
Una manciata di frame più tardi Alex666 viaggiava veloce nei corridoi alternativi della matrice. Schermava l’occhiello con un programmino di sua invenzione, lo specchio magico lo chiamava. Se qualcuno avesse provato a intercettare la sua proiezione, si sarebbe ritrovato davanti i propri codici d’accesso, che rivelavano l’identità dell’user. Avrebbe pensato ad un banale errore di sistema e avrebbe lasciato perdere la ricerca. Facile come cagare in piedi, si disse.
La stronza era ancora dentro. E chi la moveva quella. Fuori non c’era più nulla ormai. La grande recessione aveva trasformato il paese. Nelle strade si trovava solo desolazione, povertà, disperazione. Locali, negozi, centri commerciali. Tutto abbandonato. Tutto sbarrato. Per procurarsi da mangiare dovevi andare a fare la fila agli empori allestiti dal governo. Fuori era una merda, ecco cos’era.
E allora se volevi un po’ di svago dovevi trovartelo in rete. Le notti si passavano così a quei tempi, e sempre più spesso anche i giorni. La disoccupazione toccava livelli mai registrati prima. La violenza nelle strade era aumentata, insieme al disagio e alla sporcizia. No, era meglio starsene nella propria cameretta, a dormire il cybersonno.
Si stava rifacendo il trucco. Era pronta a riuscire, a succhiare qualche altro cazzo, pensò Alex666. Niente di male a farsi un videogioco. Quelli li usavano tutti, l’evoluzione della pornografia, un vero toccasana per le relazioni di coppia. Ma il sesso in rete tra due proiezioni non era molto diverso da quello reale. Anzi, poteva essere qualcosa di molto più intimo. Spesso gli avatar erano delle rappresentazioni più nude, più compiacenti, più aperte a nuove esperienze, e di conseguenza, paradosso dei paradossi, più vere. Ed Alex666 questo lo sapeva bene. Le avrebbe fatto passare la voglia, a quella troia!
Fece il suo ingresso nella private-room come una manifestazione paranormale, uno spettro del cyberspazio. Lei sussultò e gli sfuggì di mano il mascara. Acquistò lentamente consistenza, alto, longilineo, vestito di pelle nera. Un ciuffo gli ricadeva sugli occhi. Le mani sprofondate nelle tasche della giacchetta di pelle. Dentro una di quella vi era l’occhiello.
«Puttana!»
«Che cazzo vuoi?»
«Sei una puttana! Il professor Crane… quel vecchio bavoso!»
«Ma cosa dici? Ma sei fatto?»
«Ti ho vista nella chat-bath di Oregon, quel cazzo di social network per sfigati. Lui sul divano di velluto, te in ginocchio davanti a lui. E quella dannata musichina in sottofondo…»
Gli occhi di lei non potevano più nascondere il senso di colpa. Abbassò lo sguardo, ma lo rialzò immediatamente. La rabbia aveva preso il posto del dispiacere.
«Vaffanculo!»
Lui ci rimase male. Aveva creduto che si sarebbe messa a gridare, a disperare, a negare l’evidenza, forse addirittura a supplicarlo di non lasciarla. Invece lo aveva mandato a fanculo. No, questo era davvero troppo…
Le afferrò la mano. Lei reagì. Lui teneva l’occhiello in alto, una sottile fede d’argento dall’aspetto innocuo. Era pronto a mettergliela al dito, a tagliarli gli accessi, a confinarla per sempre nel mondo di fuori, quello vero, quello ormai perduto.
Un calcio nelle palle. Un banale calcio nelle palle. Perché un calcio nelle palle fa sempre male, sia fuori che dentro. Alex666, piegato in due dal dolore, si lasciò sfuggire l’anello. La stronza fu lesta ad afferrarlo e a metterglielo al dito. Il sogno svanì nel tempo di un click. Alex (solamente Alex) aprì gli occhi sul soffitto di camera sua. L’intonaco crepato, la serranda della finestra divelta, le cianfrusaglie in fondo al letto, la spia del deck accesa. Il più doloroso dei risvegli. La sua nuova realtà.
Alex realizzò tutto questo in una frazione di secondo. Udì i suoi genitori litigare nella stanza attigua. Nelle strade, dodici piani più in basso, gli arrivava il silenzio di un mondo in rovina. L’unico mondo possibile rimastogli.
Non ci pensò un secondo di più. E saltò.

FONTE: Willoworld Creativity

CYBERDREAMS

Pubblicato: 12 aprile 2008 da guzzostain in HUMUR, INTERNET, RIFLESSIONI
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TUTA USB PER ABBRACCI VIRTUALI

In attesa della Tuta USB (C) per abbracci virtuali,

accontentiamoci di questa brutta copia del Cyberspace…

A quando un definitore di immagini EBM e guanti sobo-7?

Ah già…il 56K è ancora un novità…Uff…