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di GM Willo

Ieri notte ho fatto un brutto sogno. Succede tutte le volte che mangio una pizza con il salamino piccante e i peperoni, e poi ci aggiungo anche l’olio al peperoncino perché quando la bocca mi prende fuoco mi piace da matti! Gli ingredienti aprono la porta di Oniria, il mondo dei sogni, ma il tema del viaggio ce lo mettono sempre le notizie in prima pagina, e ieri non si è fatto che parlare di pirateria informatica, di leggi repressive e di sistemi per controllare internet. E così, nella semioscurità della mia stanza da letto, ho chiuso gli occhi e i peperoni si sono messi a lavoro… (altro…)

di Wu Ming (*)

1. I due corni del falso dilemma
2. Nascita del copyright e censura: contro il “mito delle origini” liberista
3. Google Print e affini: rete, gratuità e battaglie di retroguardia

1. I due corni del falso dilemma

Partiamo dalla fine: il copyleft si basa sulla necessità di coniugare due esigenze primarie, diremmo due condizioni irrinunciabili del convivere civile. Se smettiamo di lottare perché si soddisfino questi bisogni, smettiamo di auspicarci che il mondo migliori.
Non vi è dubbio che la cultura e i saperi debbano circolare il più liberamente possibile e l’accesso alle idee dev’essere facile e paritario, senza discriminazioni di censo, classe, nazionalità etc. Le “opere dell’ingegno” non sono soltanto prodotte dall’ingegno, devono a loro volta produrne, disseminare idee e concetti, concimare le menti, far nascere nuove piante del pensiero e dell’immaginazione. Questo è il primo caposaldo.
Il secondo è che il lavoro deve essere retribuito, compreso il lavoro dell’artista o del narratore. Chiunque ha il diritto di poter fare dell’arte e della narrazione il proprio mestiere, e ha il diritto di trarne sostentamento in un modo non lesivo della propria dignità. Ovviamente, siamo sempre nel campo delle condizioni auspicabili.
E’ un atteggiamento conservatore pensare a queste due esigenze come ai corni di un dilemma insolubile. “La coperta è corta”, dicono i difensori del copyright come lo abbiamo conosciuto. Libertà di copia, per costoro, può significare solo “pirateria”, “furto”, “plagio”, e tanti saluti alla remunerazione dell’autore. Più l’opera circola gratis, meno copie vende, più soldi perde l’autore. Bizzarro sillogismo, a guardarlo da vicino.
(altro…)

L’industria discografica è in crisi, una notizia che non è più notizia. Ma quando è stata l’ultima volta che l’industria discografica si è tappata la bocca ed ha smesso di lamentarsi, mi chiedo. Fin dai tempi delle musicassette le multinazionali del disco hanno gridato alla crisi dando sempre la colpa alle nuove tecnologie. Sono passati più di dieci anni da Napster e non si arrendano. Mi domando allora, come mai continuano a combattere una battaglia persa, cioè quella della lotta alla pirateria informatica. Proverò a rispondere seguendo un filo logico tutto mio e senza pretese.

Dall’ultimo articolo apparso su Torrent Freak, blog dedicato agli amanti del file sharing, si viene a sapere che nonostante il fantomatico crollo del mercato del disco, negli ultimi quattro anni la vendita delle unità digitali è aumentata del 27%. Questo significa che la gente preferisce comprare on-line una o due canzoni e spendere un paio di euro invece di pagarne 10 o 12 per l’intero album. Che scoperta! È ovvio che con il mercato digitale si sarebbe arrivati a questo. Se l’ortolano ti offre un sacco di pere per metà bacate a cinque euro, è normale prenderne solo due sfuse ma buone per un euro e cinquanta. É così che funziona il mercato, no?

Si potrebbe pensare che la gente si scarichi prima l’album pirata, se lo ascolti, magari gli piacciono solo due pezzi e per non sentirsi in colpa va su I-Tunes e li scarica a pagamento. La realtà credo però che sia un’altra; il fatto è che l’industria del disco si è sempre sostenuta, non grazie ai veri appassionati di musica, che ancora oggi investono diversi quattrini in CD, ma grazie all’ascoltatore di passaggio, il cliente casuale, la massa insomma. È la massa che fa i grandi numeri, e oggi la massa sta incominciando a conoscere il mercato on-line (probabilmente non ha neanche la minima idea di come scaricare un album pirata). Invece di acquistare l’intero disco, il cliente casuale si compra le canzoni che già conosce e se le butta sull’i-pod. Ecco perché le vendite dei singoli sono cresciute mentre quelle degli album sono crollate.

Ciò che è realmente cambiato non è il mercato ma la fruizione del prodotto, e di conseguenza sono cambiate le abitudini del consumatore. Perciò il mercato si dovrebbe adattare a queste nuove mode. Alcuni musicisti già lo sanno e hanno smesso di produrre cd (vedi i Radiohead). In effetti anche dal punto di vista artistico l’idea dell’album è decisamente limitativa. Negli anni settanta c’era il vinile, con i sui 45-50 minuti disponibili, se non si voleva fare uscire un doppio. Col CD i tempi si sono dilatati. É normale che il mezzo di fruizione dell’opera condizioni l’operato dell’artista, ma ai tempi di internet ormai questa è una cosa che non esiste più, e non riguarda solo la musica.

Assolutamente anacronistica la recente causa dei Pink Floyd contro la EMI. La multinazionale voleva sezionare le opere del band inglese per venderle meglio su I-tunes, seguendo ovviamente le tendenze del mercato. I Pink Floyd, che di sicuro non hanno certo bisogno di guadagnare di più di quello che hanno già guadagnato, ne hanno fatto una prova d’orgoglio e si sono battuti per tenere i loro concept-album uniti. La faccenda è abbastanza ironica, se ci pensiamo bene. Ai tempi di soundclouds, dove dj improvvisati deturpano i capolavori del rock, proteggere qualcosa di assolutamente etereo come una traccia digitale è abbastanza ridicolo. Se avessero avuto bisogno di soldi, probabilmente la loro scelta sarebbe stata diversa. Ma il fattore “soldi”, si sa, condiziona da sempre il processo creativo di ogni artista…

Tornando alla domanda iniziale, perché le case discografiche continuano questa lotta, mi viene da pensare semplicemente questo: perché possono. Alcuni si domandano se non farebbero meglio ad investire sulle nuove esigenze di mercato, invece di riversare milioni di dollari in campagne pubblicitarie e battaglie legali. Beh, di sicuro non lo fanno per rimetterci. Perché una cosa è certa, quello che le multinazionali sanno fare meglio è fare sorridere i bilanci. Si potrebbe pensare che i discografici siano alla strette, che non trovino alcun modo di sfruttare le nuove tendenze di mercato, ma questo non spiega il loro accanimento e il loro spreco di energie e denaro per una battaglia persa.

La battaglia contro la pirateria ha secondo me a che fare con la grande guerra contro la libertà di internet. Questo è solo uno dei molti fronti. C’è quello della libera informazione, della web-TV, di Wikileaks (ed i suoi specchi per le allodole), della proprietà digitale… ecc. Bisogna alzare la guardia. Le libertà si tolgono un poco alla volta, e se non stiamo attenti un giorno ci sveglieremo, accenderemo il nostro PC e ci ritroveremo magicamente davanti alla vecchia TV!

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Dopo neanche un mese dall’uscita nei cinema di uno dei film più attesi di quest’anno, ecco che The Social Netwok, il nuovo lavoro di David Fincher (Seven e Fight Club) sulla storia di Mark Zuckerberg, creatore di Facebook, sbarca in rete grazie a un copia Screener, anticipando così di molti mesi l’uscita del dvd. Non è certo la prima volta che succede una cosa del genere e non sarà neanche l’ultima. Per quanto l’industria cinematografica cerchi di contenere questi fenomeni, qualcosa sfugge sempre al controllo. E di sicuro questo film sarà uno dei torrent più scaricati dell’anno, dato che in solo pochi giorni, secondo il sito Torrent Freak,  ha già avuto più di 100 mila download.

La domanda da porsi è se davvero un evento del genere possa compromettere il successo econimico del film. Beh, nei pochi giorni di programmazione, solo negli Stati Uniti, The Social Network ha già abbondantemente coperto i costi di produzione (75 milioni di $ di incasso contro i 50 spesi). Chissà, forse l’appetitoso “leak” potrebbe addirittura favorire il film, come succede ormai sempre più spesso, nonostante quello che i media ci vogliono far credere sul fenomeno del file-sharing.

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Seconda parte dell’e-ntervista ai membri della community Rivoluzione Creativa. È la volta di Enrico M. entrato da poco nel gruppo. Presto verrà pubblicato anche un suo piccolo racconto. Ecco qui che cosa ci ha risposto.

1.Da quanto tempo scrivi/disegni/componi/crei?

Domanda difficile, mi è sempre piaciuto disegnare, fin da piccolino. La musica mi affascinava ma mi pareva distante e detestavo scrivere. Ho cominciato a suonare nel 2002 (a sedici anni come tanti) e ho cominciato a scrivere testi.
Da un anno ho cominciato a scrivere anche brevi racconti, una volta passato il trauma dei temi di italiano!

2.Chi sono i tuoi modelli?

Un’altra domanda difficile… diciamo che prendo ispirazione un po’ dovunque. Ogni esperienza mi da uno spunto.
(altro…)

Qualche giorno fa ho spedito ai membri della mia community Rivoluzione Creativa un piccolo questionario, una sorta di e-ntervista per poterci conoscere meglio. Trouble ed Obi mi hanno risposto immediatamente.
Qui sotto riporto i due questionari in un testo unico. Si parla di creatività, condivisione, talento e nuove tecnologie. Buona lettura!

1.Da quanto tempo scrivi/disegni/componi/crei?

OBI: In maniera sistematica, solo da pochi anni.

TroUblE: Circa 4 anni.

2.Chi sono i tuoi modelli?

OBI: Ho modelli dinamici, mutanti, mutevoli. La maggior parte degli autori che mi piacciono hanno scritto il canone della letteratura mondiale ma hanno vissuto male e fatto una brutta fine. A volte leggo autori sconosciuti ed inediti che ispirano quello che scrivo.
(altro…)

COSA STANNO FACENDO ALLE TUE SPALLE?

Pubblicato: 25 gennaio 2010 da eydorjack in TECNOLOGIA
Tag:, ,

Buona sera, Italia. Prima di tutto vi chiedo di scusarmi per questa interruzione. Come molti di voi io apprezzo il benessere della routine quotidiana, la sicurezza di ciò che è familiare, la tranquillità della ripetizione. Ne godo quanto chiunque altro…

A parte una parola forse avrai riconosciuto la parte introduttiva del discorso di V per Vendetta.

Un ottimo film. Dove qualcuno vuole imporre un regime, qualcun altro invece vuole combattere il regime.

Voglio affrontare un argomento molto simile: le controverse leggi sui copyright.

Perché controverse?

Perché ancora non si capisce quale fine perseguano e chi dovrebbero difendere. Il consumatore? L’autore? Gli autori morti? Le case produttrici in generale? Le major? In che ordine? Quali sono i limiti?

Attualmente i diritti d’autore durano tutta la vita dell’autore più 70 anni dalla sua morte. Un grande affare per le case detentrici dei diritti d’autore. Ma anche un’ottima scelta per qualsiasi autore che prevede di diventare non morto.

Undead by ~deligaris

by Deligaris

Molti lottano per imporre la loro visione delle cose.

Prendiamo la Francia.

Sarkozy si è imposto sul parlamento francese senza badare alle opinioni contrarie proposte dalla Corte Costituzionale Francese o dal Parlamento europeo.

Ha creato una legge, la Hadopi, per combattere la pirateria.

Quando la Corte Costituzionale la ha dichiarata incostituzionale Sarkopzy non si è arreso: ha promulgato la Hadopi II (la vendetta!).

Il premier francese ne ha fatto una lotta di principio. Ma a favore di chi vanno le sue azioni? Chi ci guadagna di più? E sono leciti questi guadagni?

Le domande da porsi aumentano ogni giorno.

La Hadopi (oltre a essere legge) è anche un’agenzia incaricata del controllo degli internauti.

Eppure.

La stessa agenzia Hadopi viene accusata di violare i diritti d’autore (copyright).

Infatti qualcuno ha accusato la Hadopi di aver usato un font che non aveva licenza di utilizzare.

i font di hadopi

Non è il massimo come prova di fiducia. Questa agenzia è incaricata di controllare l’attività degli utenti su internet e potrà bloccare l’accesso al web dalla terza infrazione.

Dovrebbero controllare il traffico web delle case dei francesi e non riescono a verificare il lavoro dei loro dipendenti?

Ma il vero problema non è la Hadopi. Non è questo che stanno nascondendo a noi utenti.

Quello che stanno nascondendo si chiama ACTA.

Cos’è l’ACTA?

Un accordo multilaterale tra 40 paesi di tutto il mondo.

Già il nome è un programma.

Anti Counterfeiting Trade Agreement

Counterfeiting? Contraffazione?

Immagino che siamo tutti d’accordo sul fatto che contraffare un prodotto sia sbagliato. Quindi perché lamentarsi di un progetto per fermare i contraffattori?

Non ci sarebbe motivo di contestare un accordo del genere.

Se non fosse che in questo caso counterfeiting è un false friend. Non stanno parlando di contraffazione. Stanno decidendo come comportarsi di fronte a TUTTI i diritti di proprietà intellettuale e relative eccezioni.

Perchè vogliono spostare l’attenzione sulla parola contraffazione?

Perchè non chiamarlo Copyright Enforcement Agreement? Vogliono sviare l’attenzione?

Esistono altri modi migliori per sviare l’attenzione. Lo sanno tutti.

by Simon Pow

Come mai gli accordi sono stati tenuti segreti? Come mai nessuno può vederli?

Cosa stanno facendo alle nostre spalle?

Le domande sono infinite.

Solo ultimamente (30 novembre 2009) è trapelato un documento dell’ACTA. Le voci che già circolavano purtroppo sono state confermate.

L’ACTA mira a imporre filtri su Internet, a creare misure penali per la violazione del copyright NON a scopo di lucro e alla soppressione di qualsiasi eccezione per l’aggiramento delle protezioni.

Non solo. L’ACTA vuole anche proibire l’incoraggiamento dell’interoperabilità per i contenuti. Cioè vuole mantenere la suddivisione regionale dei codici regionali. Se prendi un cd in America non puoi vederlo in Europa. Creare programmi che violano questi codici regionali è argomento tuttora dibattuto. Loro vogliono archiviarlo.

Vogliono perfino eliminare il fair use! Ad esempio fino ad oggi si possono usare parti di un testo per fare critica senza bisogno di pagare niente al detentore dei diritti d’autore. Se l’ACTA passa il diritto alla critica sarà lo stesso?

Ma anche educazione, ricerca e satira ne verranno influenzate.

E ancora. L’ACTA vuole eliminare il principio legale di mere conduit. In pratica il postino non è mai responsabile dei contenuti che trasporta. E’ così dai tempi dei romani. Oggi invece le major vogliono rendere responsabili i sistemi di trasferimento dati. Cioè Emule diventerebbe responsabile se qualcuno lo usa per scopi non convenzionali (far circolare prodotti piratati). In pratica può sembrare molto una PRESUNZIONE di colpevolezza. (Quando nei regimi democratici dovrebbe vigere il contrario: la presunzione di innocenza)

Come mai ho fatto riferimento alle major?

Perché sono loro a proporre queste richieste ai membri appartenenti all’ACTA.

Come faccio a dirlo se questi accordi sono segreti?

Perché so chi è invitato e chi no. (E lo saprai anche tu se continui a leggere. Non lo terrò segreto)

Questo accordo multilaterale non è tenuto segreto solo per i cittadini MA ANCHE il parlamento europeo ha dovuto insistere per ottenere l’accesso alle informazioni (tutt’ora non ho capito se effettivamente sono riusciti a ottenere l’accesso completo). Eppure le grande industrie del monopolio intellettuale hanno il pieno accesso a documenti e negoziati. Non ci credi. Guarda qua.

Se vogliono parlare di copyright perché non hanno invitato i membri del partito dei pirati? Anche loro avrebbero avuto sicuramente qualcosa da dire. E perché non invitare il pubblico? Un sacco di gente vorrebbe leggere i documenti.

Ma soprattutto perchè ascoltare SOLO le major? Non c’è un evidentissimo conflitto d’interessi?

Le major non vogliono mollare il loro osso.

by azlezoo

Con questo articolo non voglio certo affermare che violare il diritto d’autore sia giusto. Ci vogliono indubbiamente delle regole. Ma è da irresponsabili far decidere queste regole alle major. Cercare di farlo in segreto, nascondendolo agli occhi del pubblico significa essere in totale malafede.

In una sola frase: Va bene regolamentare i diritti d’autore. NON va bene farlo senza invitare tutti gli interessati.

Autore: Giacomo Mariani dr Jack – Fantasy Eydor


Fonti esterne:

ACTA impone la tutela del copyright al di sopra di tutto

Unione Europea: perplessità per ACTA, troppe incompatibilità con le leggi europee, se ti interessi di Unione Europea questo articolo ti spiega QUANTE leggi violerebbe l’ACTA per come lo si conosce oggigiorno.

Secret Copyright treaty debated in DR: must see video, l’ACTA è conosciuta da poco. Proprio nel gennaio 2010 è stato fatto un dibattito pubblico. Nel video vedrai l’avvocato delle Major che cerca di difendere l’ACTA e la sua segretezza.

OMG. Un regalo per tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a qua. Questo era il link che volevo mettere per esprimere il concetto “sviare l’attenzione”.

LA SVOLTA

Pubblicato: 21 gennaio 2010 da Willoworld in ARTE, INTERNET, PENSIERO, RIFLESSIONI
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Mi chiedo, dopo anni di folle rincorsa chimerica nel perseguire gli ideali di condivisione, quando ci sarà questa benedetta svolta epocale che ribalterà la percezione del prodotto mediatico? Perché di sicuro prima o poi arriverà, ma forse bisognerà aspettare la morte di tutti noi matusa, trentenni e quarantenni nostalgici (le generazioni più vecchie dovrebbero crepare molto prima, si spera). Certo è che i nuovi navigatori della rete, i teenagers per intenderci, trovano assurdo dover spendere dei soldi per qualcosa che si può facilmente trovare on-line oppure copiare. Prima o poi saranno loro a trovarsi nelle stanze dei bottoni e nel dare libero accesso a tutte le informazioni digitali della rete, si divertiranno a fare battute su di noi, sulle nostre librerie cartacee ingiallite, sulle nostre collezioni di DVD ormai tecnologicamente obsolete e sulle discografie plastichine costate un occhio della testa.

Immagino i nostri figli a punzecchiarci con frasi del tipo: “Ehi babbo, se vuoi ti aiuto a traslocare ma le casse piene di libri e di CD te le porti da solo fino al quarto piano!” oppure “Se mi lasci in eredità la tua collezione di fumetti ci faccio un fuoco enorme per capodanno…” (quello del 2025 s’intende…) o ancora “Si, m’interessa quel vecchio libro… non ti preoccupare, me lo sparo stanotte in cuffia, lo sai che sono allergico alla carta…” Quello che le grandi industrie dell’intrattenimento stanno facendo, appoggiate dai politici burrattini, non è altro che un accanimento terapeutico su qualcosa destinato a schiattare insieme, probabilmente, a loro. Portare in tribunale giovani madri e spaventare i bambini non gli servirà a molto. Il cambiamento è già avvenuto. Cercano di indottrinare le nuove generazioni ma non ce la faranno, perchè dovrebbero far leva sulla questione etica, e si sa bene che “Etica” e “Mercato” fanno a cazzotti da sempre.

Prima o poi moriremo tutti, noi nostalgici matusa, che pensiamo sempre di aver vissuto gli anni migliori, e storciamo la bocca davanti alle stranezze dei giovani, dimenticandoci di quando i nostri genitori erano lontano anni luce da noi. Per fortuna moriremo, si non vedo l’ora… e allora arriverà la svolta.

LE CASE DISCOGRAFICHE, ACCUSATE DI PIRATERIA, DOVRANNO RISARCIRE GLI ARTISTI PER 6 MILIARDI DI DOLLARI

Mentre le major trascinano in tribunale gli utenti di BitTorrent per violazione dei diritti sul copyright, sono loro stesse ad essere citate in giudizio da un’associazione di artisti esattamente per lo stesso reato. Warner, Sony BMG, EMI e Universal dovranno rispondere fino a 6 miliardi di dollari di danni per aver piratato circa 300.000 brani.

Non è un segreto che le maggiori etichette discografiche usino due pesi e due misure quando si tratta di diritti d’autore. Da una parte cercano di mettere gli operatori dei siti BitTorrent in carcere e di rovinare la vita di madri e studenti chiedendo centinaia di migliaia di dollari in multe, e dall’altra vendono CD contenenti musica per i quali non hanno ottenuto il permesso dagli autori.

In passato abbiamo assistito a diverse contese tra gli artisti e le etichette per questioni di copyright. Solo pochi mesi fa uno dei più acclamati artisti dell’America Latina, Alejandro Fernández, ha chiesto l’intervento della polizia in un ufficio della Sony Music per confiscare oltre 6.000 CD che l’etichetta aveva rifiutato di ritornare, e questa è solo la punta di un iceberg.

Le etichette hanno preso l’abitudine di utilizzare le canzoni da una grande varietà di artisti per i CD di compilation, senza garantirne i diritti. Utilizzano la registrazione prendendone nota in “una lista di attesa”, in modo da poter affrontare la questione in un secondo momento. Questa pratica è in corso dal 1980 e da allora l’elenco dei brani non retribuito e le violazioni del copyright è cresciuto a 300.000 casi.

Stanchi di questa “pirateria delle etichette”, un gruppo di artisti ha depositato una class action in Canada nei confronti di quattro importanti case discografiche collegate alla CRIA, l’equivalente locale della RIAA. Nel mese di ottobre dello scorso anno Warner Music, Sony BMG Music, EMI Music e Universal Music sono state citate in giudizio per l’uso illegale di migliaia di brani e al momento la causa è ancora in corso.

Come e perché questa flagrante violazione del copyright possa andare avanti per anni è un mistero, ma questa condotta scorretta dei due pesi e due misure sembra sia stata recepita.  “Questo comportamento delle case discografiche è aggravato dal loro approccio rigoroso ed incessante quando si tratta dei loro interessi nei confronti dei consumatori,” sostengono gli artisti nella loro domanda di risarcimento danni.

La causa è ancora in corso, ma le etichette hanno già ammesso di dovere almeno 50 milioni di dollari per aver violato i diritti degli artisti, e questa cifra potrebbe crescere fino a 6 miliardi. Allora, chi sono i veri pirati qui?

FONTE: http://torrentfreak.com/

Traduzione di Willoworld

Ogni anno me ne vengo fuori con una compilation estiva per i miei conoscenti, una sorta di tradizione che continua dai tempi del liceo. Le compilation sono piccole creature d’amore, veri e propri omaggi a quegli artisti la cui musica diventa, giorno dopo giorno, ascolto dopo ascolto, la colonna sonora delle nostre vite.

Grazie a queta pratica (fare compilation, cassette, cd o anche semplici playlist) attraverso gli anni ho fatto conoscere moltissimi artisti a svariate persone, che poi si sono trovate anche a comprare dischi o ad andare ai concerti di questi musicisti. Di nuovo la domanda sorge spontanea; quanto realmente danneggia un musicista la cultura del file-sharing?

E comunque bisogna sempre guardare avanti, come ci dice Chris in questo brillante intervento su youtube. La grande opportunitá per gli artisti di slegarsi dalle logiche di mercato e dalle regole imposte dall’industria discografica sta proprio nel trovare alternative alla vendita del prodotto/disco.

Anche i Radiohead, che in una recente intervista affermavano che non avrebbero piú rilasciato un disco, non hanno annunciato la loro fine ma un nuovo inizio, come poi ha spiegato Colin Greenwood in un susseguente intervento. Gli artisti devono pensare le loro opere all’interno delle nuove culture tecnologiche e sociali. Il formato cd é ormai obsoleto. Un musicista oggi ha l’opportunitá di presentare i propri lavori sotto moltissime nuove forme, grazie soprattutto a internet.

Questa qui sotto é la mia compilation proposta per l’inverno. La tracklist é un semplice consiglio d’ascolto, ma guarda caso sono riuscito a trovarla da qualche parte in rete, perció se vi va di scaricarla, accomodatevi: http://is.gd/52rS9

Buon ascolto a tutti!!

THE COLONY COMPILATION
Winter 2010

01 – BIG ELF – Money is pure evil
02 – WOLFMOTHER – New Moon Rising
03 – PORCUPINE TREE – Time Flies
04 – DIABLO SWING ORCHESTRA – Balrog Boogie
05 – JOHN ZORN – Miller’s Crake
06 – THE MARS VOLTA – Copernicus
07 – PINK MARTINI – And Then You’re Gone
08 – THE DEAR HUNTER – The Poison Woman
09 – NORAH JONES – Even Though
10 – TRANSATLANTIC – The wind blew them all away
11 – JULLIETTE LEWIS – Fantasy Bar
12 – TORI AMOS – Snow Angel
13 – BEARDFISH – Destined_solitaire
14 – ALICE – Island

Picture by Willoclick

FONTE: http://colonyofslippermen.wordpress.com/

Se vivete negli States e state pensando di condividere i vostri files su internet, fermatevi! Rischiate di essere multati, e il crimine non paga (almeno che non decidi di rapinare una banca, quello si che potrebbe convenire!) Prendete ad esempio Jammie Thomas, condannata a pagare 2 milioni di dollari di multa per aver scaricato illegalmente 24 canzoni, o tutti quelli che sono stati perseguitati dalla RIAA.

Al contrario provate altri reati, perché ce ne sono molti che hanno pene più leggere che quelle in cui potreste incappare scaricandovi le ultime hits del momento. Ecco qui elencati sette crimini con sanzioni minori di quelle riserbate a chi pratica il file sharing.

1.    Sottrazione di minori – 25000$
2.    Rubare un cd originale – 2500$
3.    Svuotare la casa di Bryan Adams – 375000$
4.    Dare fuoco alla villa di Lars Ulrich – poco più di 375000$
5.    Perseguire (stalking) Lindsay Loan – 175000$
6.    Iniziare un ring per cani da combattimento – 50000$
7.    Uccidere qualcuno (in secondo grado) – La pena massima è solo 25000$ (più 15 anni di prigione) e poi dipende dal tuo salario, che con molta probabilità non ti fará prendere più di 2 milioni di multa.

Quindi, prima di accendere il vostro torrent, pensateci su. Forse vi conviene di più scendere al negozio di dischi e infilarvi una manciata di cd nello zaino.

FONTI: http://gapersblock.com/mechanics/2009/08/17/seven-crimes-to-consider-befor/

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HAR 2009

Pubblicato: 17 agosto 2009 da Willoworld in INTERNET, PENSIERO, TECNOLOGIA
Tag:, , , , , ,

In questi giorni in Olanda (Vierhouten, una cinquantina di chilometri da Amsterdam) si sta tenendo l’Hacking at Random 2009, una conferenza tecnologica internazionale su temi quali la sicurezza, il file-sharing e altri interessantissimi temi ideologici legati al fenomeno della rete.

Qui sopra riporto il video di uno dei dibattiti tra Tim Kuik, presidente dell’associazione BREIN in difesa del copyright, e alcuni  sostenitori del fenomeno del file sharing. L’audio è in inglese non sottotitolato.

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Premetto che sono in favore del file sharing e della condivisione di materiale in rete. Tutte le mie pubblicazioni infatti sposano le licenze creative commons e copyleft.

Questo breve intervento potrebbe sembrare quasi scontato, ma sento comunque il bisogno di postarlo. Mi preme ricordare (con un po’ di presunzione da maestrino) a tutti coloro che utilizzano gli strumenti di peer2peer e scaricano da internet files protetti dal copyright che, qualora si avvalessero loro stessi della licenza del copyright, la loro condotta, oltre ad essere illegale (e questo mi sembra chiaro), diventerebbe decisamente ipocrita.

Questo teorema sempliciotto potrebbe estendersi a qualsiasi pratica di copiatura, dal cd-burning alla fotocopiatrice. Le leggi sul copyright sono precise e severe; il materiale protetto si può riprodurre solamente tra le mura domestiche, perché anche prestare un cd o un dvd significa, secondo il manifesto del copyright, danneggiare l’autore.

Ma la cosa che mi preme dire non è: “chi non ha mai prestato un libro… in fondo siamo tutti pirati”. No, non m’interessa il discorso legale ed illegale. Rispetto le leggi della società perché mi vengono imposte, non perché le reputo giuste. Esistono leggi al di sopra della società, e sono quelle dell’uomo, e il condividere è uno dei fondamenti della comunità.
Vorrei solo puntare l’indice su coloro i quali, magari inconsapevolmente, si comportano da ipocriti. Perché se non rispetti le indicative delle leggi sul copyright e poi ti avvali di queste per le tue produzioni, commetti un “reato etico”.

Diverso e più complesso il discorso per coloro che hanno dei contratti con case editrici/discografiche o produttori vari. In questi casi succede che la responsabilità etica è automaticamente delegata a chi segue gli interessi degli autori (anche se questo giochino, a mio parere, non scagiona del tutto l’artista).

Viviamo tempi strani, e l’argomento copyright e copyleft riflette molto l’andazzo ideologico e politico del pianeta. Il perbenismo di facciata conta di più dei sani principi dell’uomo. Di tanto in tanto è importante farsi un bell’esamino di coscienza, anche se non tutti rispettano i medesimi parametri di integrità e giustizia.

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PIRATE BAY, il più importante sito per il peer to peer, sarà venduto entro agosto per 5,6 milioni di euro a un’azienda svedese, Global Gaming Factory X, che gestisce numerosi internet café nel mondo. La notizia arriva di sorpresa oggi ed è subito confermata da Peter Sunde, uno dei fondatori di Pirate Bay: “Molte persone sono preoccupate. Noi non lo siamo e nemmeno voi dovreste esserlo”, scrive sul proprio blog. Sunde rassicura i fan, il sito non cambierà nei fini e nella sostanza, ma ciò non basta a far tacere i timori degli utenti: si teme per la sorte del sito, dopo l’acquisizione.

Del resto, il nuovo proprietario, Hans Pandeya, ha già dichiarato che intende dare una svolta al portale, “in modo che i fornitori di contenuti e i detentori di copyright siano pagati per quello che è scaricato dal nostro sito”. Una grossa differenza rispetto alla linea dura e pura finora seguita dai fondatori, all’insegna della totale indifferenza nei confronti dei diritti d’autore. Il che ha portato allo storico processo contro Pirate Bay, che si è concluso in primo grado con una condanna e una multa di 2,7 milioni di euro. Sentenza confermata, per ora, perché il giudice è stato appena dichiarato idoneo a pronunciarla, dalla Corte d’Appello svedese. Quelli di Pirate Bay avevano accusato il giudice di conflitto d’interessi, perché coinvolto in associazioni pro-copyright.

Pirate Bay quindi certo cambierà, anche se ancora non si sa in quale misura e se continuerà a essere il terrore delle major. Sunde ha già annunciato, nelle scorse ore, che smetterà di ospitare i torrent sui propri server e che saranno messi in un futuro servizio di terze parti. Suona come un prendere le distanze dal materiale che scotta: i torrent sono file che collegano l’utente ai contenuti da scaricare.

Certo, anche se Pirate Bay dovesse chiudere, gli utenti peer to peer hanno solo l’imbarazzo della scelta tra siti e servizi alternativi, per scaricare in barba al copyright. I fari sono sulla vicenda, però, perché Pirate Bay è ben più di un motore di ricerca di torrent: è il simbolo del peer to peer che sfida le leggi, facendo proseliti anche in politica.

Peter Sunde dichiara che i soldi della vendita serviranno per continuare questa battaglia ideale, per costituire una fondazione in difesa della libertà di espressione su internet. Sunde, del resto, in questi giorni è in Brasile, all’International Free Software Forum, dove si è fatto fotografare con il presidente Lula. Il fondatore di Pirate Bay aggiunge che la vendita servirà anche a garantire la sopravvivenza del sito, spingendolo verso nuovi orizzonti. I quali potrebbero essere il sito di video streaming (l’anti-YouTube pirata) di cui è appena uscita un primo abbozzo.

Sunde in quest’occasione non parla della multa inflitta dal tribunale, anche se sarebbe lecito aspettarsi che i proventi della vendita serviranno anche per pagarla. Sunde ha sempre dichiarato però che non intende pagare e che farà ricorso in appello. La community degli utenti adesso però si chiede se è possibile che la condanna e la vendita siano solo una coincidenza.

(30 giugno 2009)

FONTE: La Repubblica

di Alessangro Longo

Il Partito Pirata, per la prima volta nella storia, entrerà nel Parlamento Europeo, avendo ottenuto in Svezia il 7,4 per cento dei voti. Una svolta che racconta come muta il sentimento popolare intorno ai temi del copyright in internet, perché scopo principale del Partito Pirata è rivoluzionare le leggi sulla tutela del diritto d’autore. È un partito con diramazioni in vari Paesi europei, anche in Italia. Come ben sanno anche i suoi sostenitori, è però molto improbabile che si replichi da noi il successo svedese.

«Quella in Svezia è stata una bellissima vittoria, che probabilmente porterà al Partito Pirata due seggi in Parlamento. Nei giorni precedenti la votazione, era accreditato al 6 per cento. Insomma, non poteva andare meglio», dice a Repubblica.it Alessandro Bottoni, portavoce del Partito Pirata italiano.
In Svezia ha ottenuto 200 mila voti, contro i 35 mila del 2006, quando ha provato per la prima volta il salto in Europa. È ora il quinto partito in Svezia e, si calcola, il più popolare tra chi ha meno di 30 anni.

L’entusiasmo per questa prima volta deve però fare i conti con la realtà, spiega Bottoni: «Ci sono Partiti Pirata anche in Spagna, Germania, Francia, Polonia, Regno Unito, Italia, Finlandia. Ma solo in Svezia sono riusciti ad andare alle elezioni europee. In alcuni Paesi – Germania, Francia, Regno Unito – non sono riusciti a raccogliere abbastanza firme. In altri non ci hanno nemmeno provato», continua Bottoni. «E in Italia il massimo che siamo riusciti a fare è che mi sono candidato come indipendente nelle liste Sinistra e Libertà». Che non è riuscita a entrare nel Parlamento europeo.

«Da noi c’è molto meno interesse, rispetto alla Svezia, per i temi della libertà di internet e per la riforma del copyright. Credo che nei prossimi dieci anni almeno, il Partito Pirata non riuscirà a ottenere niente da noi». E la posizione del Partito Pirata italiano è pure più moderata di quella svedese. Se lì l’obiettivo è eliminare il copyright tout court, «da noi proponiamo un compromesso tra i diritti degli utenti, degli autori e degli editori. Non vogliamo abolire il copyright, ma rendere libero e legale lo scambio di opere tra utenti, purché non a scopo di lucro ma solo per uso personale».

Bottoni cerca di sensibilizzare la popolazione su questi temi, pur consapevole che l’impresa darà frutti forse solo sulle prossime generazioni. «In Europa però già la vittoria del partito svedese potrà cambiare qualcosa», aggiunge. «Un successo che si deve in parte al processo svedese contro Pirate Bay, ma non solo. È segno che i giovani vogliono ormai riconosciuto come diritto dei cittadini un’abitudine radicata, che vedono come normale: poter scambiare musica, film e giochi con i propri amici». Forse, adesso, «i governi saranno più cauti, abbandoneranno la linea dura contro il peer to peer, tutta a favore delle lobby dei copyright. Perché, con la vittoria svedese, sanno che sta crescendo un sentimento popolare ormai inarrestabile».

FONTE: La Repubblica

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